Che ci si rivolga ad uno psicologo o a un neuropsichiatra infantile per far valutare una possibile plusdotazione/APC verranno somministrati dei test e ci si troverà in mano una relazione con indici e numeri.
I test più usati: le scale Wechsler
Questo è il linguaggio dei test cognitivi: punteggi ponderati e indici espressi in cifre. Per il clinico quei numeri hanno un significato, per chi li legge spesso rappresentano più delle incognite che delle risposte.
Sulla base dei risultati dei punteggi ponderati e dei diversi indici si possono ottenere profili facilmente interpretabili e altri che si presentano non omogenei, con forti discrepanze. In entrambi i casi sarà indicato nella relazione attenendosi ai criteri indicati nel manuale del test utilizzato.
Capita che le persone plusdotate/APC presentino un QIT non interpretabile. Accade quando fra il valore più alto e quello più basso negli Indici ICV, IRP, IML e IVE si rileva una differenza di oltre 40 punti. In questi casi si guarda il valore dello IAG, calcolato coi punteggi ponderati ottenuti in ICV e IRP. Quando il QIT non è interpretabile, lo IAG è un miglior indicatore delle capacità della persona e diventa anche il valore di riferimento che permette di definirla come plusdotata/APC.
Per chi è stato valutato o per i suoi genitori vedere un profilo disomogeneo e numeri non interpretabili lascia uno spazio aperto. Un numero che indica qualcosa ritenuto certo offre un appiglio rassicurante. In fondo non è il QI a stabilire la plusdotazione/APC? È normale voler sapere, normale pensare che se si fosse ottenuto un QI interpretabile sarebbe stato meglio. La mente è portata a categorizzare. È un processo automatico che ha la funzione di rendere la realtà facilmente comprensibile. Quando non è possibile incasellare, qualcosa rimane in sospeso. Come fare? Come riuscire a comprendere un profilo non riassumibile in un unico numero?
Immaginate un bambino nato in Germania da mamma italiana e papà inglese e che entrambi i genitori gli parlino ognuno nella propria lingua madre. Il bambino apprenderà tre lingue. Probabilmente nei primissimi anni di vita conoscerà meglio la lingua della mamma, poi quella parlata alla scuola materna e nel mentre imparerà quella del papà. Con la mamma si esprimerà in italiano, col papà in inglese e con gli amici in tedesco.
Ogni lingua non è l’esatta traduzione dell’altra, ma porta con sé una maniera di esprimere la realtà, dei modi di dire, delle espressioni intraducibili. Immaginare la ricchezza del mondo interno di quel bambino è impossibile. Ciò che appare è una piccola parte dell’intricata rete di relazioni fra lingue e modi di essere. A seconda della situazione quel bambino si sentirà un po’ più italiano, un po’ più inglese o un po’ più tedesco.
Se arrivato a 10 anni gli si potesse chiedere qual è la sua lingua principale, quale lo rappresenta di più, cosa risponderebbe? Sarebbe in grado di sceglierne solo una? Probabilmente no, perché quel bambino è l’esito dell’incontro di quei tre modi di essere, che si esprimono in lui inestricabilmente rendendolo unico, ma se venisse sottoposto a dei test per valutare le competenze acquisite nelle diverse lingue gli verrebbero attribuiti dei punteggi.
Torniamo al profilo ottenuto con il test.
È possibile considerare gli indici come espressione della conoscenza di diverse lingue: ciascuna racconta una parte della persona, un modo di esprimersi, che include e insieme va oltre le singole prove affrontate. Ogni lingua può essere approfondita, allenata, arricchita o temporaneamente accantonata.
Ogni persona avrà una preferenza per una delle lingue: ci sarà quella in cui riesce meglio, quella che usa solo in certe situazioni, ma tutte fanno parte del suo mondo. Coesistendo una influenza l’altra e ciò che nasce è unico e originale.
Si potrebbero trovare due profili con gli stessi punteggi in ogni prova del test, ma la sovrapposizione finirebbe lì: in ognuna di quelle due persone il potenziale si esprimerebbe in un modo unico.
I test, gli indici, i numeri hanno un’utilità se vengono utilizzati come strumenti e non come fini. Le persone sono complesse, meritano di essere conosciute nella loro unicità.
Quando parliamo di test e profili cognitivi parliamo di linguaggi, modi di interpretare e descrivere la realtà che viene osservata.
Bisogna dare vita a quei numeri guardando alla forma in cui la persona li incarna nel suo quotidiano, per aiutarla a comprendere il proprio modo di esprimere il potenziale, accoglierne le possibilità, i punti deboli e trovare il proprio equilibrio e benessere.
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