Quando perdiamo il diritto di essere diversi, perdiamo il privilegio di essere liberi.
Charles Evans Hughes
L’ideale rappresenta una meta verso la quale ambire, ma mai raggiungibile. E’ un modello col quale confrontarsi, perdendo ogni volta. E’ uno stimolo a migliorare, che non dà pace, né piacere per gli obiettivi raggiunti. A tutti i livelli dell’essere umano, l’ideale stabilisce la “forma” che si deve avere e il comportamento che si deve agire, senza guardare la persona nella sua unicità. Ripropone una dimensione verticale dell’esistenza, il trascendere ciò che è umano.
Il possibile è vuoto creativo. È’ il luogo dove tutto ciò che creiamo trova ragione di esistere. È l’assenza di ogni forma e l’accettazione di ogni forma. È stimolo a cercare, senza la preoccupazione di trovare qualcosa che possa essere inadeguato. Il possibile ignora cosa sia lo sguardo normativo e ingloba ogni sfaccettatura del nostro essere umani.
Contrapporre queste istanze non vuol essere un modo di perseguire un ulteriore ideale, ma una proposta che poggia su un modello di realtà inclusiva, aperta e in costante movimento. Scegliere il possibile complica i giudizi, liberandoli dai rassicuranti limiti delle regole sociali, ma ha in sé la forza di aprire la porta alla vita vissuta, alle esperienze reali. Guardare ad una persona come ad un infinito mondo di possibilità è già pensarla come movimento-cambiamento-creatività, cioè tutto ciò che è intimamente caratteristico degli esseri umani.
“…la nostra libertà di scelta non è tra le cose, ma tra i significati che noi conferiamo alle cose, per cui noi siamo liberi perché siamo donatori di senso e perché scegliamo in base al senso che diamo.” (Galimberti, 1983)
La clinica, l’incontro fra due persone, pone la persona in un contesto interattivo nel quale essa è protagonista nel dare espressione al possibile, assecondando se stessa nel viversi all’interno dell’interazione stessa. È nello spazio dell’interazione che trova senso la scelta di esplorare in sé vissuti, emozioni, pensieri. La relazione è uno stimolo, offre possibilità e spazio all’espressione. Il contesto che si propone come spazio di possibilità permette di accogliere quelle esplorate e di esplorarne di nuove. L’incontro crea un contesto dove “allenarsi” ad essere, senza che sia necessario pensare a come essere, una sorta di palcoscenico alternativo, dove recitare nuovi copioni senza il timore di ricevere “critiche negative”.
Il mondo in cui nasciamo appare definito e con dei limiti concordati, ma è solo in questo mondo che il nostro esserci può trovare le sue possibilità. Ovunque siamo, portiamo noi stessi, ciò che siamo, ma la nostra complessità si mostra e si nasconde, parti di noi emergono, mentre altre rimangono sullo sfondo. In uno spazio clinico queste parti danzano mostrandosi e celandosi allo sguardo.
È in quello spazio e in quel tempo del movimento intrapsichico che la persona sente di “cambiare”, addirittura assapora un senso di libertà.